Sinergie tra valorizzazione dell’italia e promozione del manufatturiero di eccellenza del nostro paese

SINERGIE TRA VALORIZZAZIONE DELL’ITALIA E PROMOZIONE DEL MANIFATTURIERO DI ECCELLENZA DEL NOSTRO PAESE

di Giorgio Basile, Cesare Galli, Daniela Mainini

Per iniziare, un aneddoto
Nel 1968, in piena guerra fredda, il russo dottor Abdulin, dirigente della Gioventù Comunista Sovietica, recuperò durante una visita politica in Bulgaria una bottiglietta di Coca Cola e riuscì a portarla in madrepatria come dono per il fratello Nail. La prima bottiglietta della celebre bevanda della casa di Redmont entrò così, per vie traverse e nascostamente, in Russia.

Un anno dopo, gli Stati Uniti mandarono il primo uomo sulla luna, vincendo la corsa allo spazio con l’URSS: la gente cominciò ad andare in processione a casa di Nail Abdulin per vedere quella bottiglietta divenuta oggetto di culto.

Cosa ci dice la letteratura economica
La letteratura economica si è molto concentrata nell’indagare l’effetto benefico che l’immagine percepita all’estero di un Paese ha sull’immagine delle imprese di tale Paese sui mercati internazionali (“Country of origin effect”). Il consumatore, quando si trova nella posizione di dover scegliere un determinato prodotto o di esprimere un giudizio sullo stesso in un quadro di informazioni limitate, tenderà ad utilizzare l’immagine che egli ha del Paese di origine di quel prodotto per sviluppare un atteggiamento verso la marca.
Inoltre, sin dagli Anni ’70 diversi economisti hanno anche affrontato la relazione inversa, ossia come la corporate image delle imprese di uno Stato possa influire sulla country image.
Uno dei primi ricercatori che ha indagato con metodo scientifico tale seconda relazione è stato Nagashima nel 1970, per poi arrivare, attraverso varie evoluzioni, ad una serie di studi che negli Anni ’90 (Papadopoulos nel 1990, Nebenzahl nel 1991, Jaffe nel 1996, Kim e Chung nel 1997) hanno evidenziato che:

  1. esiste una relazione di interdipendenza tra immagine dei prodotti e delle imprese di un Paese e l’immagine del Paese stesso, e viceversa;
  2. tale relazione si auto-alimenta e può evolvere nel corso del tempo, talché l’attitudine verso un Paese può cambiare a seconda dell’evoluzione di immagine percepita che i prodotti (e le imprese) di quel Paese hanno presso i consumatori e viceversa.

Negli Anni 2000 la ricerca accademica ha ulteriormente rafforzato queste conclusioni, evidenziando, oltre il caso degli Stati Uniti, quelli di Corea del Sud (Hyundai, Daewoo, Samsung e LG), Spagna (banche e TLC), Finlandia (Nokia) e così via.
Ciò è particolarmente vero nel caso dell’Italia, che, da una parte, ha imprese di riconosciuta eccellenza in molti settore e, dall’altra parte, ha una country image nella quale giocano un ruolo importante anche fattori diversi da quelli strettamente produttivi, ed anzitutto il patrimonio culturale e la diffusa bellezza del territorio. In particolare, il valore economico prodotto dalla cultura è sempre più rilevante, come ha confermato anche una recente ricerca Makno, ma il sistema cultura, per essere realmente produttivo sul piano economico, e influire positivamente sulla country image, di cui tutte le imprese di un determinato territorio possono beneficiare, ha bisogno di essere messo in rete, accompagnato da servizi di supporto e valorizzato con scelte strategiche.
In conclusione:

– l’immagine di un Paese influisce e contribuisce in modo importante sull’immagine percepita all’estero delle imprese di quel Paese;
– l’immagine che le imprese di un Paese riescono a conquistarsi nel Mondo influisce e contribuisce all’immagine di quel Paese nel Mondo;
– la cultura e il territorio contribuiscono in modo significativo a quest’immagine, ma perché questo contributo sia veramente rilevante, occorre definire e rafforzare strategie che mettano in rete i punti di forza esistenti.

Le imprese italiane e la  
Per una serie di fattori (storici, culturali, politici) l’Italia ha un tessuto economico che si basa in modo forte su imprese di dimensioni medie o medio-piccole, spesso con un assetto proprietario di tipo familiare, che rappresentano circa l’80% del totale addetti, rispetto a una media UE di circa dieci punti inferiore.
Inoltre, le medie imprese italiane manifatturiere contribuiscono al PIL per circa il 59%, rispetto al 34% della Francia e al 38% della Germania (Rapporto Cerved 2017).
Appare evidente che quanto maggiori sono le risorse che un’Impresa ha a sua disposizione, tanto più elevate sono le possibilità che la stessa ha di introdurre prodotti innovativi e/o di qualità che suscitino ammirazione nel mondo, così come tanto più ampio sarà il livello di “reach” che può garantire alla propria immagine (e, di riflesso, a quella del Paese) nel Mondo.
Per converso, un tessuto industriale composto essenzialmente da imprese piccole e medie che devono confrontarsi sul mercato globale con colossi stranieri dotati di risorse enormemente superiori potrebbe, nel tempo, alimentare una retrocessione anche della loro corporate image, che, come abbiamo visto, a sua volta può indebolire l’immagine complessiva dei prodotti e delle aziende del Paese, in un circolo vizioso.
Quando invece le imprese sanno valorizzare la country image anche nel contesto della loro corporate image e correlativamente le istituzioni pubbliche, ciascuna nelle proprie competenze, utilizzano gli strumenti giuridici che l’ordinamento già oggi mette a loro disposizione per consentire alle imprese di beneficiare e in pari tempo di contribuire alla country image, allora si può innescare una spirale virtuosa, nella quale le diverse eccellenze del nostro Paese – eleganza, cibo, cultura, moda, design, ma anche ricerca, qualità, innovazione – possono sostenersi vicendevolmente
Assume quindi un ruolo centrale chiedersi attraverso quali strumenti sia possibile fare sì che le imprese italiane sappiano utilizzare al meglio i punti di forza loro e del Paese e così “giocare la partita globale”, superando il vincolo della limitata dimensione e delle conseguenti minori risorse a disposizione dello sviluppo e della crescita, rispetto ai competitor stranieri, in pari tempo dotandosi di idonei strumenti per la crescita della produttività, a sua volta necessaria in ragione del legame che di solito si instaura tra la capacità delle imprese di competere nei mercati globali ed elevata produttività, che è condizione indispensabile per avere successo all’estero, mentre oggi il problema dell’Italia nel suo complesso è la bassa crescita della produttività.

Alcune indicazioni operative
Messa da parte l’ipotesi, da noi rigettata, che il destino di un’impresa di dimensioni limitate nel mondo globale sia necessariamente quello di “scomparire”, assorbita da realtà industriali (straniere) di maggiori dimensioni (il che può certamente avvenire, poiché gli investimenti stranieri in Italia sono assolutamente da auspicare ed attirare per la crescita della nostra economia, ma non dev’essere una strada obbligata, anche perché, se così fosse, ciò comporterebbe il rischio del depauperamento del Paese di tutte le connesse attività ad alto valore aggiunto professionale, spesso oggetto di spostamenti), così come quella del ricorso obbligato alla Borsa con le famiglie di controllo che scendano in minoranza (il che a sua volta può essere opportuno quando serve in effetti alla crescita di queste imprese, ma, ancora una volta, non deve rappresentare una strada obbligata, specie nei casi in cui ciò comporterebbe. di fatto, la messa in vendita a valori inadeguati di realtà ancora troppo piccole per essere “sia prede che predatori”), si evidenziano qui alcune “leve” per permettere alle piccole e medie imprese italiane di operare con successo sui mercati internazionali nonostante il vincolo iniziale della minor dimensione rispetto ai concorrenti stranieri:

  • forte interconnessione a livello di enti locali e nazionali, con una visione strategica che identifichi e incoraggi i servizi di supporto per il sistema cultura e territorio e che ne coordini la crescita con il sistema delle imprese;
  • promozione della formazione – attraverso sinergie tra pubblico e privato – di veri e propri “distretti culturali”, nei quali la consapevolezza condivisa di come la cultura, il paesaggio, i paesaggi umani, il saper fare rappresentano importanti valori aggiunti “spendibili” anche sul mercato globale possa portare ad iniziative di valorizzazione reciproca delle imprese di eccellenza, del territorio in cui gravitano e dell’intero Paese;
  • registrazione e valorizzazione da parte degli enti territoriali di marchi aventi ad oggetto elementi grafici distintivi riferiti al patrimonio culturale, storico, architettonico e ambientale del relativo territorio e collaborazione con i consorzi di tutela delle DOP e IGP, per sviluppare operazioni di licensing mirato e di co-branding con le imprese industriali di eccellenza del territorio e i diversi operatori del comparto turistico, in modo da presentare insieme sui nuovi mercati le eccellenze italiane dei diversi settori, promuovendole vicendevolmente;
  • alleanze strategiche su “pezzi di business” specifici, possibilmente con JV o scambi azionari, di maggior garanzia nel medio termine rispetto ai semplici Accordi;
  • operazioni di licensing su singoli prodotti o tecnologie con operatori terzi su specifici mercati nazionali o segmenti globali, senza la pretesa di “fare tutto da soli”;
  • JV per sostenere il peso dell’innovazione su prodotti/progetti specifici;
  • ricorso alla Borsa con strumenti finanziari già a disposizione, come le Azioni Sviluppo, che creino un patto tra guida imprenditoriale e investitori finanziari, mettendo a disposizione delle imprese adeguate risorse finanziarie conferite con il vincolo del pieno rischio, garantendo al contempo l’autonomia gestionale e la continuità del Progetto Industriale;
  • associazioni di imprese per progetti specifici;
  • gestione preventiva del passaggio generazionale nelle imprese con assetto proprietario di tipo familiare;
  • adozione spontanea delle best practice internazionali a livello di governance, di gestione delle risorse umane e di crescita della produttività.

In tal modo l’immagine Paese diventerà un valore condiviso, a cui tutti, cittadini, imprenditori, istituzioni possono e devono collaborare, in una visione strategica che valorizzi il grande patrimonio esistente, spesso sottovalutato, facendo sì che immagine-Paese e immagine delle imprese si integrino e si sostengano a vicenda all’interno del mercato globale che deve necessariamente costituire il punto di riferimento dell’azione di tutti coloro che hanno davvero a cuore il futuro dell’Italia.

Hai trovato interessante questo articolo? Scarica la versione digitale