PER UN CRITERIO TOTALMENTE NUOVO DI GESTIRE L’ACCOGLIENZA E L’IMMIGRAZIONE

Un breve inquadramento storico
Un’emergenza davanti alla quale non si può chiudere gli occhi è quella legata alle migrazioni, fenomeno inevitabile, ma che non può essere gestito in modo scriteriato e disorganizzato.
La prima legge organica italiana in materia di immigrazione è stata la cosiddetta “Legge Martelli” del 1990 (legge 28 febbraio 1990, n. 39), risalente a un periodo nel quale gli ingressi nel nostro Paese erano pari a 50.000 persone l’anno. Ciò nonostante sin da allora venne messo in luce che una politica di apertura sostanzialmente indiscriminata costituiva un tragico errore politico e sociale, perché incoraggiava ad entrare in Italia più persone di quelle che l’Italia era effettivamente in grado di accogliere e di inserire nella vita produttiva e nel tessuto sociale, destinate ad alimentare disagio, delinquenza e assistenzialismo. L’evidenza empirica e diversi studi sociologici dimostrano che le persone che si trovano nella condizione di non poter soddisfare i bisogni primari di sopravvivenza (fame, sete, sonno, dimora dignitosa, cura della salute, ecc.) (*) e non hanno altra possibilità se non quella di rivolgersi ad attività illegali, e comunque dannose per la società, finiscono per farlo. Pertanto, posto che la chiusura totale di un Paese non è concepibile – di fronte agli squilibri demografici ed economici presenti, e ancor più attesi, tra il mondo ricco e quello povero o devastato da guerre, repressioni, altre forme di violenza – l’unica strada possibile rimane quella di una gestione organizzata, possibilmente a livello Europeo, dell’accoglienza per motivi sia umanitari, sia economici.
Tutto ciò è noto e condiviso, a livello internazionale, da molti decenni.
Ciò ha aperto la strada ad una serie di inevitabili provvedimenti di sanatoria a favore di chi si era comunque inserito, che a loro volta facevano però da moltiplicatore di nuovi ingressi clandestini, e poi di una legislazione altalenante, tra una repressione più declamata che realizzata in grado di essere effettivamente attuata e atteggiamenti di indulgenza indiscriminata, che hanno solo diviso il Paese, il quale invece doveva (e deve!) essere più che mai unito, per affrontare insieme un fenomeno che, nel frattempo, ha assunto una portata molto più grande, da un lato a causa dell’instabilità, delle scarse prospettive di sviluppo e dei veri e propri conflitti armati che hanno interessato l’Africa e il vicino Oriente, che hanno riversato verso l’Europa masse crescenti di disperati, per i quali l’Italia, data la sua posizione geografica, rappresenta inevitabilmente la meta più immediata; e dall’altro lato a causa della denatalità e del progressivo invecchiamento dell’Europa (di cui il nostro Paese è capofila), che ha bisogno di nuovi abitanti, purché però siano in grado di trovare un’idonea collocazione produttiva.

La necessità di distinguere tra immigrazione ed emergenza umanitaria.
Una prima e fondamentale esigenza – economica prima ancora che giuridica – è quella di non confondere e sovrapporre i profili umanitari connessi alle migrazioni con l’organizzazione e l’indirizzo dei flussi di immigrati che intendono stabilirsi nel nostro Paese. Purtroppo molti in Italia considerano l’accoglienza come un atto umanitario: quando arrivano a centinaia o a migliaia, gli immigrati vengono poi in gran parte letteralmente rovesciati in recinti come il C.a.r.a., senza né arte né parte. Si tratta di un atto umanitario? Un elementare principio della teoria economica insegna invece che per ogni fine di politica economica che viene perseguito occorre uno strumento indipendente, anche se ovviamente coordinato con gli altri: già solo per questo è dunque impensabile autorizzare un’immigrazione indiscriminata col pretesto dei doveri umanitari, e per converso è impensabile rifiutarsi di adempiere i doveri di assistenza umanitaria per ostacolare l’immigrazione nel nostro Paese.
I doveri umanitari vanno dunque assolti in modo rigoroso e senza interpretazioni restrittive, contrarie al diritto internazionale e eticamente inaccettabili, ma al contempo la presenza in Italia di cittadini di Stati non facenti parte dell’Unione Europea va disciplinata e soprattutto monitorata in modo rigoroso, destinando ai controlli le risorse necessarie e richiedendo anche agli enti territoriali di far rispettare le leggi vigenti, anzitutto sull’uso degli alloggi, sul divieto di occupazioni abusive e sul rispetto rigoroso delle regole igienico-sanitarie.
In sintesi, proprio perché il problema è serio, esso ha bisogno di risposte serie e ragionate. È infatti necessario che i criteri di immigrazione siano ben organizzati, vale a dire che assicurino a tutti coloro che arrivano, per motivi di immigrazione, il soddisfacimento dei bisogni essenziali. Questo, non è avvenuto e non avviene, con la conseguenza di incrementare nel nostro Paese i problemi di sicurezza e ordine pubblico.

Alcune indicazioni operative
Organizzare l’immigrazione significa, in altre parole, garantire a ciascuno il soddisfacimento dei bisogni precitati, un posto di lavoro, ecc.. In altre parole, è necessario avere un legame stretto e coerente tra coloro che arrivano e i bisogni del Paese e, più in generale, con le possibilità concrete di reale accoglienza del Paese.
Tutto questo, sinora, non è avvenuto.
Non è neppure ammissibile che le imprese che hanno necessità di manodopera extracomunitaria scarichino integralmente sulle istituzioni pubbliche il costo e gli oneri sociali della loro accoglienza: costi e responsabilità vanno invece condivisi. In modo eguale e contrario, là dove il ricorso agli stranieri viene a supplire a necessità sociali che farebbero carico alle pubbliche istituzioni, come nel caso di quelli che prestano servizi di assistenza ai bambini ed agli anziani, queste stesse istituzioni devono contribuire al relativo costo, ad esempio attraverso l’istituzione di vouchers sociali.

Il valore dell’integrazione.
Risulta inoltre indispensabile educare gli stranieri che giungono nel nostro Paese, che devono imparare non solo la nostra lingua, ma anche la nostra cultura e quella che una volta si chiamava educazione civica, e al contempo devono essere messi in condizione di arricchire questa cultura, facendo conoscere agli Italiani le tradizioni e la storia dei loro Paesi di origine: questa conoscenza reciproca e il doveroso rispetto per le nostre regole di civile convivenza possono contribuire anche a far diminuire la percezione di insicurezza che la presenza di comunità straniere numerose inevitabilmente porta con sé, diminuendo le tensioni e favorendo l’integrazione.
Una soluzione interessante è stata quella adottata recentemente dal Governo canadese. Il Canada accoglie un numero dosato di persone poi sono le persone accolte che devono occuparsi di trovare una soluzione adeguata. Dopo pochi anni, le convocano e verificano: gli immigrati che sono riusciti possono rimanere, quelli che non sono riusciti, vengono rispediti ai rispettivi Paesi di origine. Anche se questo è un esempio-limite, probabilmente non attuabile integralmente nel nostro Paese, che non è storicamente un Paese di immigrazione (ma semmai di emigrazione, o di migrazioni interne), esso indica certamente una linea di tendenza da perseguire.
Si presenta quindi l’urgenza di una soluzione degna di tal nome.

L’immigrazione di qualità.
Esiste e va tenuto in forte considerazione anche un tema di “qualità” dell’immigrazione, vale a dire della capacità del nostro Paese di attrarre immigrazione qualificata e di colmare il gap che attualmente ci separa da altri paesi europei su questo tema.
Il vasto e complesso fenomeno dei flussi migratori, infatti, coinvolge anche molte persone che hanno un elevato livello d’istruzione, buone competenze, particolari specializzazioni e importanti potenzialità, ma che decidono di abbandonare i propri paesi d’origine alla ricerca di maggiori e migliori possibilità di metterle a frutto e di iniziare una nuova vita altrove. Tali “risorse”, a maggior ragione in un paese mediamente anziano e con tassi di natalità non elevati come il nostro, possono dare un valido contributo allo sviluppo imprenditoriale e in particolare ai processi di trasformazione e innovazione digitale e tecnologica che stanno interessando le imprese di ogni settore produttivo e che richiedono numerose e nuove competenze e figure professionali.  Per questo motivo è indispensabile che l’Italia sia e si sappia presentare a livello internazionale – anche agli occhi di questa componente di immigrazione di qualità, oltre che in modo più generalizzato – come una meta attrattiva per figure qualificate, talentuose e portatrici di buone idee, nei confronti delle quali avviare valide politiche di inclusione, di ulteriore formazione e di valorizzazione.
Nell’epoca attuale di Globalizzazione nella quale la competizione è globale bisogna saper attrarre i migliori al mondo, non necessariamente italiani.
Gli italiani che vanno all’estero, spesso fanno onore al nostro Paese. Possono decidere di rientrare o non rientrare, questo dipende dall’attrattività del nostro Pese per loro.

(*) Ved. la Teoria di Abraham Maslow (la piramide dei bisogni).
Rev. 18/03/ 2020

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