Diritti e doveri Culturali per competere nel mondo globale

DIRITTI E DOVERI CULTURALI PER COMPETERE NEL MONDO GLOBALE

Premessa: i beni immateriali e l’intelligenza quali asset decisivi dell’economia del XXI secolo

Le principali industrie mondiali del XX secolo e le imprese di servizi avevano rilevantissimi asset materiali. Nel XXI secolo, invece, le massime imprese mondiali hanno asset quasi esclusivamente immateriali: Apple, Google, Microsoft, Facebook, Amazon hanno come main asset il loro know know – il software piuttosto dell’hardware. Le competenze dei loro dipendenti, e non le fabbriche, sono il loro asset primario.

Esse non sono sostituibili (almeno ad oggi) né dai robot, né dalla AI e sono il principale fattore di occupazione qualificata e duratura nel mondo occidentale. È anche dimostrato che per ogni posto di lavoro in aziende di questo genere v’è un indotto nell’area di almeno sei posti in attività di minore e anche di scarsa professionalità: e il maggiore problema sociale in tutto il mondo è oggi quello di dare un lavoro dignitoso a queste persone.

Nonostante la rivoluzione digitale sia stata finora dominio quasi esclusivo degli USA, non c’è motivo perché essa non possa essere sviluppata altrove, in particolare in Europa: non è infatti più il momento in cui il dominio politico ed economico è solo di chi ha risorse naturali e fabbriche. Oggi il primato è quello dell’intelligenza.

Ciò vale anche per l’Italia, paese di grandi potenzialità intellettuali e di grande patrimonio culturale. L’Italia è però uno dei paesi “sviluppati” con minore presenza di laureati (penultima nella UE, con il 27% di laureati fra le persone fra 30 e 34 anni), e una parte rilevante dei giovani più capaci sono emigrati, non per ritornare poi con nuove capacità (o comunque per creare legami economici significativi con il nostro Paese), ma per restare definitivamente all’estero. Abbiamo esportato laureati (dopo averne finanziato l’istruzione) e importato badanti. La ripresa della nostra società e della nostra economia non può che passare attraverso l’accesso per il maggior numero di persone alla cultura scientifica, tecnologica e umanistica; è questo il presupposto per una occupazione qualificata e per la stessa tutela della salute e della qualità della vita, attraverso comportamenti consapevoli e responsabili. La cultura, dunque, non è un tema che riguarda solo le élite, ma, al contrario, è la conditio sine qua non per assicurare il futuro di tutti coloro che vivono e lavorano nel nostro Paese.

Elementi di contesto

Per affrontare in modo concreto questo problema, decisivo, per il nostro sviluppo, occorre anzitutto comprendere il contesto in cui si inserisce. Benché venga drammaticamente trascurata nel nostro Paese, l’importanza della cultura si è enormemente accresciuta nell’epoca della globalizzazione, che ha mutato lo stesso significato che tradizionalmente assegniamo a questa espressione.

Globalizzazione significa infatti, tra l’altro, che si compete con tutte le culture, cosicché la cultura è sempre più un fattore fondamentale per risultare più o meno predisposti a competere in un ambito mondiale.

Sotto questo profilo, in particolare, la società contemporanea è caratterizzata da due processi, interagenti tra loro:

  1. il predominio della conoscenza, della velocità e della capillarità di trasmissione delle informazioni dovuto all’avvento delle nuove tecnologie;
  2. l’aumento dei flussi migratori.

L’interconnessione di questi due processi dà vita a un nuovo paradigma, a una nuova struttura sociale che può essere definita con il termine di società della conoscenza.

Peraltro la società della conoscenza è causa e conseguenza di una società globale caratterizzata dalla mobilità degli individui, delle merci e delle informazioni grazie al rapido sviluppo delle tecnologie operanti nell’ambito della comunicazione.

I processi migratori sono spostamenti, sia che essi siano o meno volontari, di esseri umani, ma spesso la dimensione umana è sottovalutata, mentre i processi migratori e lo sviluppo della conoscenza stanno portando individui di diverse origini e culture a un contatto ravvicinato e con una frequenza e una velocità inimmaginabile fino a qualche decennio prima.  Le nostre società e i nostri Stati stanno fronteggiando diversità ed esigenze culturali diverse al punto che oggi occorre considerare un nuovo elemento costitutivo dell’individuo e della società definito con il termine di identità culturale.

I diritti culturali e i nuovi compiti del governo e della società

La cultura è dunque un fattore fondamentale per risultare più o meno predisposti a competere in un ambito mondiale.  Per chi è meno predisposto, come purtroppo il nostro Paese, il cambiamento da attuare è molto più oneroso: chi deve guidare un Paese in questa epoca deve possedere una indubbia competenza strategica, competitiva a livello internazionale, competenza che passa anche per il riconoscimento e la valorizzazione dell‘identità culturale come elemento fondante degli individui e della comunità cui essi appartengono.

Per identità  culturale si intende “l’insieme dei riferimenti culturali con il quale una persona, sola o in comune, si definisce, si costituisce, comunica e intende essere riconosciuta nella sua dignità”, definizione presente, per la prima volta, nella  Dichiarazione di Friburgo (2007) dal titolo “I diritti culturali”, che peraltro ha le proprie radici nella Dichiarazione universale dei diritti umani (Onu, 1948), nella Dichiarazione universale sulla diversità culturale (Unesco, 2001) e nella Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali (Unesco, 2005).

La  Dichiarazione di Friburgo (art. 2)  oltre a definire con  il termine «cultura» “i valori, le credenze, le convinzioni, le lingue, i saperi e le arti, le tradizioni, istituzioni e modi di vita tramite i quali una persona o un gruppo esprime la propria umanità e i significati che dà alla propria esistenza e al proprio sviluppo” si preoccupa anche di specificare come per  «comunità culturale» si intende “un gruppo di persone che condividono dei riferimenti costitutivi di un’identità culturale comune.”

In particolare, la Dichiarazione (artt. 3-8) identifica come diritti culturali:

  1. identità e patrimoni culturali;
  2. comunità culturali;
  3. accesso e partecipazione alla vita culturale
  4. educazione e formazione;
  5. comunicazione e informazione;
  6. cooperazione culturale.

Questa categorizzazione può diventare un modello di riferimento per la costruzione di politiche pubbliche integrate, capaci di considerare i processi culturali come occasioni e possibilità per lo sviluppo dei singoli individui, delle comunità e della società nel suo insieme, rendendola più sicura, tollerante, creativa ed innovativa.

Alcune indicazioni operative

La cultura non è sostituibile (almeno ad oggi) né dai robot, né dalla IA e rimane il principale fattore di occupazione qualificata e duratura nel mondo occidentale. Si è già ricordato che per ogni posto di lavoro in aziende “culturalmente avanzate” vi è un indotto di almeno sei posti in attività di minore o scarsa professionalità.

La nostra è però un’epoca nella quale – a causa dei continui, rapidi, progressi scientifici e tecnologici – per tutte le professioni una generazione di conoscenze e competenze dura meno di cinque anni: ed anzi in quest’ultimo periodo tale durata, con il passare del tempo, si riduce progressivamente.

A livello personale e a livello nazionale questa è una vera rivoluzione, perché nella storia dell’uomo, la trasmissione delle conoscenze e delle competenze è sempre avvenuta, senza eccezioni, dai genitori e dagli insegnanti ai più giovani. Oggi questi insegnamenti possono ancora costituire una base, ma poiché ovviamente la vita è molto più lunga di meno di quattro/cinque anni, si genera un “analfabetismo di ritorno”, vale a dire trovarsi non in possesso delle conoscenze/competenze che servono nel nuovo contesto.

Risulta dunque indispensabile acquisire la consapevolezza di queste dinamiche e quindi del profondo cambiamento in atto della società, del modello di convivenza e di sviluppo, per effetto del quale il modello di stato sociale, con tutto ciò che questa espressione ha significato dal dopoguerra in poi,  si sta inevitabilmente modificando  in uno  “stato culturale”,  dove ad essere centrali sono, e lo saranno sempre più in futuro, i diritti e i doveri culturali, con tutte le conseguenze e le allocazioni di risorse pubbliche che ne possono derivare, al fine di dare centralità alle  condizioni necessarie – oggi identificate con il termine di sostenibilità culturale – per soddisfare le nuove esigenze di conoscenza, cooperazione, solidarietà individuale e collettiva oltre che  di sviluppo economico.

In questi ultimi anni, si è infatti generata una vera e propria ”emergenza educativa” caratterizzata da significativi problemi che gravano sui pilastri fondamentali di una società civile (famiglia, scuola, giustizia, dovere ed equità fiscali, rispetto delle regole) e dalla carenza di un comun denominatore di valori positivi, esplicitati e condivisi, strettamente necessario in un tempo in cui esplode l’autoresponsabilizzazione per cui ognuno è più che mai responsabile delle sue scelte e quindi, del suo destino e, naturalmente, delle sue scelte di lavoro.

Al pari di quanto è avvenuto in passato, la nascita di un nuovo modello di organizzazione sociale, economica e culturale avviene solo quando la collettività percepisce l’esigenza di riconoscere nuovi diritti e nuovi doveri – in questo caso quelli culturali – necessari alla sopravvivenza della società stessa e capaci di diventare i nuovi paradigmi su cui fondare un reale sviluppo del Paese, senza rincorrere e ricorrere a sterili politiche assistenzialiste.

Tra questi, fondamentale è realizzare sistemi di aggiornamento permanente, basati sul concetto del lifelong learning, che in tutti i campi diano modo di aggiornarsi in modo agevole sui temi più importanti del momento, con i relatori più esperti, avvalendosi anche delle possibilità consentite dalle nuove tecnologie di trasmissione a distanza.

Obiettivo è “avviare un cambio di passo” e favorire un piano di investimenti pubblici nell’ambito della educazione e della formazione, un New Deal culturale, al fine di offrire e implementare nuove visioni e strategie per il futuro, attraverso la costruzione di politiche pubbliche integrate che considerino i processi culturali come strumenti di senso e come occasioni per lo sviluppo dei singoli individui e delle comunità.

A tal fine, un percorso fattibile deve prevedere anzitutto:

  • progetti di alfabetizzazione digitale, che rendano il più inclusivi possibile non solo l’accesso ai nuovi servizi della società dell’informazione, ma anche la fruizione responsabile di essi e un atteggiamento critico nei confronti delle notizie e dei giudizi presenti sul web
  • politiche di integrazione interculturale, che attuino il diritto-dovere all’inclusione dei soggetti che giungono nel nostro Paese provenendo da Paesi e culture diversi
  • il riconoscimento del diritto-dovere alla memoria storica, recuperando l’esigenza di conoscenza e comprensione della storia e della geografia, attraverso adeguamenti dei programmi scolastici e universitari per le nuove generazioni e progetti di recupero per i soggetti già adulti, anche servendosi dei media pubblici di informazione
  • l’implementazione del diritto-dovere all’aggiornamento permanente nella logica del lifelong learning, utilizzando al meglio i nuovi media per rendere “virali” interventi affidati ai maggiori esperti del mondo sui temi di maggiore attualità, consentendo ai più larghi strati della popolazione di rimanere al passo con l’evoluzione dei tempi e di tutelare al meglio il futuro di se stessi e delle future generazioni
  • il conferimento del rango costituzionale ai diritti e ai doveri culturali

Tutto ciò sullo sfondo di una nuova consapevolezza – da alimentare attraverso la famiglia, la scuola, l’università – del fatto che la cultura e l’aggiornamento non sono solo un diritto, ma un dovere, tanto più in relazione alle esigenze competitive del mondo globalizzato e alla meritocrazia che necessariamente lo caratterizza e che implica in pari tempo il riconoscimento delle competenze e quello delle responsabilità sociali che eccellere porta con sé.

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